IL SALE

In una bellissima città della Russia viveva un tempo un ricco mercante che aveva tre figli: Fedor, Vassilij e Ivan. 

I primi due erano abili e svelti negli affari, mentre il minore non rivelava alcuna inclinazione per questo genere di attività, perciò il padre aveva ben poca stima di lui, e i fratelli ancor meno. Un giorno il vecchio mercante chiamò i due figli maggiori e disse:
– È tempo che mi diate un aiuto e dimostriate che cosa sapete fare. Ho allestito per voi due navi cariche di mercanzie preziose: tappeti, pellicce, essenze odorose, legni pregiati. Fate vela per qualche porto lontano e commerciate: vedrò, al vostro ritorno, chi di voi due avrà saputo far fruttare meglio la sua ricchezza. Vi do un anno di tempo.

 

I due fratelli furono contentissimi e si prepararono a partire; ma il terzo, poiché non gli era stato affidato alcun incarico, incominciò a lamentarsi:
– Padre mio, perché mai non avete fatto allestire una nave anche per me?
– Perché tu non hai il bernoccolo degli affari. Sciuperesti la roba e torneresti a mani vuote.
– Forse no! Lasciatemi provare, come i miei fratelli.
Ivan tanto pregò e supplicò che finalmente il padre si decise ad affidargli una nave; ma non volendo metter in gioco mercanzie rare, convinto di non rivederle più, fece caricare la nave di pali, assi e tavole di legno di infimo valore.
Così anche Ivan poté partire e il vento gli fu tanto favorevole che in tre giorni raggiunse i suoi fratelli. Veleggiarono per un po’ l’uno dietro l’altro, ma a un tratto li colse una burrasca che sconvolse il mare e scatenò un vento furioso: le tre navi si dispersero, e quando ritornò il sereno, Ivan si accorse di essere rimasto solo.
Senza sgomentarsi, il giovane continuò il suo viaggio, e dopo qualche tempo approdò a un’isola sconosciuta. “Chissà che non possa fare buoni affari, qui?” pensò; e scese a terra accompagnato dai marinai. Ma l’isola sembrava deserta e non si vedeva in giro né una capanna né un uomo.

 

La spiaggia, tutta la terra e anche un’alta montagna erano ricoperte di una polvere bianca e scintillante. “Forse sbaglio, ma questo è sale” pensò Ivan. 

Ne raccolse un pizzico e l’assaggiò. 

Era sale davvero, e il giovane, assai contento pensando ai guadagni che avrebbe potuto ricavarne, ordinò:
– Gettate in acqua assi e pali e fate, invece, un carico di sale.
Così fu fatto; il bastimento riprese il mare e veleggiò per molto tempo fino a quando giunse al porto di una grande e ricca città. Sceso a terra, Ivan seppe che proprio in quel luogo viveva lo zar. Allora, dopo aver riempito un sacchetto di sale, si fece indicare il palazzo reale e chiese di essere ricevuto.
– Che cosa vuoi straniero? – gli chiese lo zar – Vedo che arrivi da lontano: hai qualcosa da mostrarmi?
– Maestà, io vendo sale – rispose Ivan – vorrei venderne a voi e a tutti gli abitanti della città.
– Sale? Non so cosa sia. Mostrami questa tua strana merce.
Subito il giovane aprì il sacchetto, ma il sovrano scoppiò a ridere:
– Questa è soltanto sabbia molto bianca! Mi dispiace per te, straniero, ma da noi questa roba non si vende: si regala! Vattene in pace e torna soltanto quando potrai mostrarmi qualcosa di meglio.


Ivan uscì dal palazzo molto deluso, e pensò “Aveva ragione mio padre: ho fatto soltanto un cattivo affare! Tuttavia voglio entrare nelle cucine reali per vedere che specie di sale mettono nelle vivande”. Si presentò al capocuoco e chiese di potersi sedere accanto al fuoco per riscaldarsi e riposare.

– Entra, fratello, e riposati quanto vuoi – rispose il capocuoco, e Ivan, dalla sua panca, poté osservare il personale di cucina che preparava le pietanze dello zar.
Chi manipolava la pasta, chi rimestava, chi puliva i pesci, che faceva rosolare l’arrosto: cuochi e cuoche aggiungevano nelle vivande erbe aromatiche e spezie di ogni genere: ma di sale neanche l’ombra. Quando il pranzo fu pronto, tutti uscirono per imbandire la mensa e Ivan, rimasto solo, aperse il suo sacchetto e gettò rapidamente un pizzico di sale nelle pentole e nei tegami. Poi sgattaiolò fuori e tornò alla sua nave.

 

Quel giorno, a tavola, lo zar ebbe una serie di sorprese: la minestra era squisita, il pesce aveva un sapore delicato e persino il dolce era più buono del solito. Allora chiamò i cuochi.

– È la prima volta che assaggio cibi così gustosi! Come li avete cucinati?
– Come al solito, maestà – risposero i cuochi – Non riusciamo a capire neppure noi perché oggi il pranzo sia riuscito così bene.
– Però – esclamò ad un tratto il capocuoco – in cucina c’era uno straniero, che, adesso, è tornato alla sua nave. Forse egli ne sa qualcosa.
– Venga subito alla mia presenza – comandò lo zar; non appena Ivan si presentò, gli chiese con voce irata: 
– Che cosa hai aggiunto nelle mie vivande?
Ivan si gettò in ginocchio: – Perdonatemi, maestà: ho messo nei cibi un pizzico di sale. Dalle nostre parti si usa così.
– È meraviglioso! – esclamò lo zar – Comprerò io tutto il tuo sale. Quanto chiedi?
– Poco: per ogni misura di sale, voglio una misura d’oro e una misura d’argento.
– È un prezzo conveniente. Fa scaricare la nave mentre io preparerò il compenso.
Così fu fatto. Per scaricare il sale occorsero tre giorni, e altrettanti per caricare l’oro e l’argento. La stiva fu tanto piena che non ne sarebbe entrato un grammo di più. Il giovane Ivan era già pronto a spiegare le vele, quando al porto giunse la figlia dello zar accompagnata dalle damigelle.
– Straniero, non ho mai visitato una nave – disse la fanciulla – posso veder questa?
Ivan fu ben contento di fare da guida alla bella principessa, ma mentre la conduceva sul ponte, il cielo si oscurò e sul mare scoppiò una violenta burrasca. Trascinata dal vento, la nave ruppe gli ormeggi e fu spinta a tale distanza che quando ritornò il sereno, la terra non si vedeva più.

 

La principessa si mise a piangere, e Ivan cercò di consolarla:
– È il destino che vuole così: ti farò conoscere il mio paese e se vorrai ci sposeremo.
Ivan era un bel giovane: la principessa sorrise. Il viaggio continuò allegramente, e dopo molti giorni furono avvistate altre due navi. Erano i fratelli di Ivan che facevano ritorno in patria. Ivan li salutò con gioia, e ingenuo e semplice com’era, presentò loro la bella principessa e mostrò le sue ricchezze, convinto che i fratelli ne avrebbero gioito con lui.
Ma i fratelli invece divennero verdi per l’invidia e il dispetto e guardarono il giovane con occhi cattivi: poi presero a confabulare tra loro. Quella notte, mentre Ivan dormiva, Vassilij e Fedor lo afferrarono e lo gettarono in mare. Poi comandarono minacciosamente alla principessa di non fiatare e ripresero il viaggio verso casa.

 

Intanto Ivan, toccato il fondo marino, era svenuto. Quando riaperse gli occhi si trovò seduto sopra uno scoglio, vicino a un gigante che toccava il fondo del mare con i piedi, e usciva dall’acqua fino ai gomiti.
– Ti ho salvato io – spiegò il gigante che aveva i baffi lunghi due metri – e se vuoi sapere anche il resto, ti dirò che la tua principessa sposerà Fedor, mentre Vassilij si prenderà le tue ricchezze.
– Ti prego – implorò Ivan – fammi ritornare a casa! Aiutami!
– Avrei voluto tenerti con me – borbottò il gigante – ma non sarebbe stato giusto. Perciò ti accompagnerò a casa, ma, prima di lasciarti andare, vorrei che tu rispondessi a questa domanda: qual è la cosa più preziosa che ci sia in terra e in mare?
– Il sale – rispose Ivan. Allora il gigante si mise il giovane sulle spalle e lo trasportò fino alla soglia di casa: poi scomparve. Ivan fece per entrare quando udì suo padre che diceva:
– Siete stati molto bravi, figli miei! Ma dove sarà finito Ivan?
– Nella taverna di qualche porto – risero i fratelli.
In quel momento Ivan spalancò la porta. La principessa lo vide e gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo. Il padre guardò i figli maggiori e chiese tutto sorpreso:
– Che cosa significa questo?
Ma i figli non diedero spiegazioni: balzarono fuori dall’uscio e corsero fino alle navi, spiegarono le vele e si allontanarono al più presto. 
Ivan e la bella principessa si sposarono e vissero felici per moltissimi anni.

                                                                                                       HANS CHRISTIAN ANDERSEN